Editoriali

Papa Francesco, non ci siamo!

Ops, l’ha fatto di nuovo. Papa Francesco ne ha combinata un’altra delle sue. Bergoglio, voce dei cattolici di tutto il mondo, ha voluto entrare a gamba tesa nei delicati scenari politici internazionali, prendendo una posizione forte che ora, fatalmente, dovrà rappresentare la posizione di tutto il mondo cattolico.
No, non ci siamo. L’aver acconsentito alla richiesta del leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, che ha voluto incontrare il Pontefice, non è solo un colpo basso nei confronti di Israele, ma una indebita ingerenza della Santa Sede in una questione che può essere definita solo tramite negoziati tra le parti.

L’incontro ufficiale tra il presidente dell’Autorità Palestinese e il papa prelude all’apertura di una rappresentanza diplomatica dello “stato” palestinese in Vaticano. E’ un atto simbolico, che non ha praticamente alcun valore. Ma che ha un significato preciso e importante. Riconoscere lo stato palestinese significa sostanzialmente uscire dalla neutralità nel conflitto arabo-israeliano, schierandosi dalla parte dei nemici di Israele.
Il riconoscimento dello stato palestinese non è un gesto di neutralità, perché significa anticipare il diritto internazionale e soprattutto riconoscere uno stato palestinese a prescindere, a scatola chiusa e senza garanzie. Ossia, riconoscerlo anche se non ci sarà certezza che i palestinesi abbandonino la strada del terrorismo e la politica di aggressione nei confronti di Israele, anche se non cesseranno i razzi di Hamas e non sarà smantellata l’organizzazione terroristica che governa a Gaza e neppure l’ala militare di Fatah che spadroneggia in West Bank. Significa riconoscere la legittimità della Palestina anche se i palestinesi si rifiuteranno di riconoscere Israele.

La Santa Sede non ha chiesto nulla in cambio ai palestinesi e ad Abu Mazen. Nessuna garanzia. Proprio per questo il riconoscimento dello stato palestinese è una pericolosa violazione della neutralità, oltre che un’indebita ingerenza politica.

L’incontro ufficiale tra il presidente dell’Autorità Palestinese e il papa prelude all’apertura di una rappresentanza diplomatica dello “stato” palestinese in Vaticano. E’ un atto simbolico, che non ha praticamente alcun valore. Ma che ha un significato preciso e importante. Riconoscere lo stato palestinese significa sostanzialmente uscire dalla neutralità nel conflitto arabo-israeliano, schierandosi dalla parte dei nemici di Israele.
Questo ad un anno dalla storica apertura tra cattolici ed ebrei, suffragata dalla visita di Papa Francesco alla sinagoga di Roma. Il riconoscimento dello stato palestinese non è un gesto di neutralità, perché significa anticipare il diritto internazionale e soprattutto riconoscere uno stato palestinese a prescindere, a scatola chiusa e senza garanzie. Ossia, riconoscerlo anche se non ci sarà certezza che i palestinesi abbandonino la strada del terrorismo e la politica di aggressione nei confronti di Israele, anche se non cesseranno i razzi di Hamas e non sarà smantellata l’organizzazione terroristica che governa a Gaza e neppure l’ala militare di Fatah che spadroneggia in West Bank. Significa riconoscere la legittimità della Palestina anche se i palestinesi si rifiuteranno di riconoscere Israele.

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