Editoriali

L’undici settembre, vent’anni dopo

Vent’anni dopo, l’11 settembre si commemora con il ritiro americano dall’Afghanistan, là, dove, nel 2001, l’operazione contro il terrore voluta da George W. Bush, aveva avuto inizio.

A che scopo continuavano a restare le truppe americane, seppure in numero ridotto, in un luogo dove ormai, secondo la vulgata corrente e pressante non avevano più nulla da fare?

Pur nella loro diversità di approccio e intenti, tre presidenti, Obama, Trump e Biden, sono stati convergenti su questo punto, i soldati impiegati, boots on the ground, in operazioni militari lontane e costose, vanno fatti rientrare, il tempo della loro permanenza  oltre oceano è scaduto.

Il clamoroso attacco jihadista contro le Twin Towers, ormai una data storica, di cui l’Afghanistan fu il centro operativo dove Osama Bin Laden lanciò, nel 1998, la sua fatwa contro gli Stati Uniti è ormai musealizzato, i soldati americani tornano a casa, i talebani si riappropriano del paese, e, come coronamento, un membro di al Qaida, Sirajuddin Haqqani dell’omonimo clan, sul quale pende una taglia di dieci milioni di dollari da parte dell’FBI, diventa il Ministro degli interni del nuovo governo talebano.

Joe Biden voleva che i soldati americani rientrassero prima dell’11 settembre, simbolicamente per chiudere il cerchio e dichiarare improvvidamente mission accomplished, ma che cerchio si chiude se al Qaida, tramite un suo membro diventa parte di un governo che i professionisti del wishful thinking vorrebbero “moderato”? Che cerchio avrebbe potuto chiudersi quando, il suo predecessore, Donald Trump apparecchiava a Doha, dai quatarioti sponsor di Hamas e della Fratellanza Musulmana, un accordo con i talebani come se fossero vecchi gentlemen inglesi, per un passaggio di potere morbido? Non certo quello improntato sul simbolismo americano, ma semmai un cerchio islamico.

Come non vedere infatti, oggi, data di una ricorrenza infausta, il gaudio jihadista per gli americani invasori e occupanti, per gli infedeli, tornati a casa nella convinzione della Casa Bianca che gli Stati Uniti saranno più al sicuro rinserrati nel perimetro della loro fortezza?

Potranno davvero gli Stati Uniti, con il solo ausilio dei droni e della tecnologia militare più avanzata impedire che l’Afghanistan ritorni ad essere un centro operativo del jihadismo? E’ più che lecito dubitarne fortemente.

La sconfitta americana, anche se non conseguita sul terreno, è, agli occhi dell’Islam più agguerrito, quello per il quale, in ossequio a un proverbio afgano, “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, la prova che la storia gioca a suo vantaggio, si tratta solo di aspettare, e l’Afghanistan, dove, secondo i rapporti militari americani, sarebbero operative ben venti organizzazioni jihadiste, è un buon posto dove farlo, in cui fare crescere folta la gramigna.

L’11 settembre, vent’anni dopo, ci consegna questo scenario.

 

 

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