Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Mistificatori all’opera

Il Dipartimento di Cultura, Politica e Società (CPS) dell’università di Torino ospita, da anni, una sequela infinita di attiità anti-israeliane.
Tra i gruppi informali dell’università spicca “Progetto Palestina”, un’associazione di estrema sinistra con posizioni radicalmente antisioniste. Due anni fa, i suddetti invitarono nell’ateneo torinese uno dei più noti propagandisti anti-israeliani, Illan Pappè. Ma non sono mancati all’appello nemmeno Amira Haas, Salim Valley, Virginia Tilley, Richard Falk, Ahmed Abu Artema e altri odiatori seriali dello Stato d’Israele.

Non sorprende, dunque, che alcuni accademici dell’università di Torino figurino tra i firmatari dell’ennesima lettera-manifesto antisionista, condita di mistificazioni e formule retoriche. In tale lettera, si esprime “preoccupazione” per la “strumentalizzazione”, fatta in Israele, in Europa e negli Stati Uniti, dell’antisemitismo attraverso la definizione data dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), finendo per accusare come antisemita chi critica la “politica coloniale” di Israele, e difende i diritti dei palestinesi.

I firmatari torinesi sono il costituzionalista Francesco Pallante, gli antropologi Roberto Beneduce e Simona Taliani, la politologa Rosita Di Peri, il sociologo Marco Revelli, tutti in forza al Campus Luigi Einaudi, che ospita il Dipartimento CPS. Si segnala anche lo storico Angelo D’Orsi, accademico dell’università di Torino in pensione, militante marxista filopalestinese e filosovietico.

La lettera, pubblicata originariamente dal​ The Guardian, ripresa in Italia da Zeitun e a stralci da Il Manifesto, dispiega tutto l’armamentario ideologico della sinistra neomarxista, che ha contribuito a fare di Torino la capitale italiana dell’antisionismo. In barba alla realtà, la letterina descrive Israele come un’entità razzista e colonialista:

Crediamo che nessun diritto all’autodeterminazione debba includere il diritto di sradicare un altro popolo e impedirgli di tornare nella sua terra, o qualsiasi altro mezzo per garantire una maggioranza demografica all’interno dello Stato.

Chiunque conosca la storia sa che non è avvenuto alcuno “sradicamento” forzato. Durante la guerra del ’48, dichiarata dagli arabi contro Israele, combattuta in un territorio abitato da entrambe le popolazioni, era logico che l’unico modo di vincere era quello di espellere gli arabi combattenti dalle zone assegnate agli ebrei. Inoltre, non andrebbe mai dimenticato, che molti arabi lasciarono volontariamente la propria terra, convinti di poterci tornare una volta annientato lo Stato Ebraico. Ma la parte più grave e sconcertante della lettera è la seguente:

La definizione di antisemitismo dell’IHRA e le relative misure legali adottate in diversi Paesi sono state utilizzate principalmente contro le organizzazioni di sinistra e quelle per i diritti umani che sostengono i diritti dei palestinesi e contro la campagna per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), mettendo da parte la reale minaccia per gli ebrei, proveniente dai movimenti nazionalisti bianchi di destra in Europa e negli Stati Uniti.

La definizione di “antisemitismo” adottata dall’IHRA ha il merito di condannare le strategie lessicali e politiche impiegate dal nuovo antisemitismo mascherato da “antisionismo” e “umanitarismo”. Quando l’International Holocaust Remembrance Alliance condanna il metodo di “Applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele richiedendo un comportamento non atteso da o non richiesto a nessun altro Stato democratico” o ancora quando qualifica come odio antiebraico “Incitare, sostenere o giustificare l’uccisione di ebrei o danni contro gli ebrei in nome di un’ideologia radicale o di una visione religiosa estremista”, altro non fa che gettare una luce sui meccanismi della demonizzazione di Israele messi in atto, soprattutto, dalla sinistra.

Il fatto che numerose ONG attive nel campo dei “diritti umani” siano finite nel mirino è la prova che, oramai, il lessico dei “diritti umani”, della “resistenza”, della “liberazione”, è un dispositivo al servizio della causa antisionista e antisemita. Fatto che si riflette nel sostegno al movimento BDS,  gruppo antisemita che chiede lo strangolamento economico d’Israele e che intrattiene legami ambigui col terrorismo islamista, ma che nel testo viene presentato come “mezzo legittimo di lotta non violenta a favore dei diritti dei palestinesi”.

I militanti di Hamas hanno elogiato il BDS come mezzo per distruggere Israele e hanno sollecitato una maggiore organizzazione nel condurre la lotta contro il sionismo. Ma il sostegno del gruppo terroristico al BDS va oltre le semplici parole. Il giornalista americano Daniel Greenfield ha reso noto che la US Campaign for Palestinian Rights (USCPR), il gruppo americano che sostiene il BDS, collabora con i facinorosi antisemiti noti come Studenti per la giustizia in Palestina (SJP), incanalando denaro verso il “Comitato nazionale palestinese BDS” (BNC), che opera nei cosiddetti “territori occupati”. BNC è un “gruppo ombrello” che raccoglie sotto di sé membri di Hamas, del FPLP e della Jihad islamica.

La definizione di antisemitismo criticata include anche “Usare simboli e immagini associati all’antisemitismo classico (per esempio l’accusa del deicidio o della calunnia del sangue) per caratterizzare Israele o gli israeliani”, cosa che viene regolarmente fatta tanto dai filopalestinese nostrani quanto dai leader “moderati” della Palestina. Basti pensare all’accusa lanciata da Abu Mazen al Parlamento Europeo nel 2016, nella quale affermava che un gruppo di rabbini si fosse prodigato presso il governo israeliano per chiedere di poter avvelenare l’acqua dei palestinesi.

Alla fine, si esprime preoccupazione per l’antisemitismo di destra, fingendo di non vedere che i più accaniti antisemiti in Europa sono nelle file progressiste e laburiste, a cominciare da Jeremy Corbyn a capo del Labour Party per un quinquennio.

Tutto il testo della lettera falsifica la realtà, galleggia sull’indeterminazione dei concetti e trasuda ignoranza della storia. Essa risponde all’elementare meccanismo mediante il quale ci si identifica con una “vittima” creata ad arte e ci si sente moralmente superiori. Ha scritto in proposito Richard L. Cravatts nel suo Genocidial Liberalism. The university’s jihah against Israel and Jews:

Il palestinese, posizionato come colui che è costretto a soffrire umiliazioni quotidiane e costantemente privato di una patria e del diritto all’autodeterminazione, è diventato l’esempio perfetto per l’archetipo contemporaneo della vittima, l’altro del Terzo Mondo, un senza dimora costantemente presente, un tragico rifugiato dispossessato la cui situazione critica può essere attribuita al presunto colonialismo da parte dello stato “colonico” di Israele.

I tropi descritti da Cravatts sono tutti condensati nella lettera, dove affossano la realtà per sostituirla con un simulacro ideologico vero solo sulla carta. Nel testo della lettera non si fa riferimento al regime di Hamas, al terrorismo indiscriminato contro civili israeliani, all’odio antiebraico diffuso nelle scuole insieme ad armi finte e copie del Mein Kampf. Gli intellettuali, in particolare i professori a cui è affidata l’educazione, sanno cosa firmano? Si tratta di ignoranza e conformismo? Forse no, probabilmente la risposta è nella parole del filosofo polacco Leszek Kolakowski, in un saggio dal titolo eloquente Intellettuali contro l’intelletto:

Qualunque sia la spiegazione, si può essere sicuri che ogni movimento religioso o sociale che rappresenti l’anti-intellettualismo più aggressivo troverà l’entusiastico sostegno di un certo numero di intellettuali cresciuti nella civiltà borghese occidentale, i cui valori essi scarteranno ostentatamente per umiliarsi di fronte allo splendore di un inequivocabile barbarie.

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