Editoriali

Strategia fallimentare

Sono 492 i razzi che nelle giornate di ieri e di oggi sono stati lanciati sul sud di Israele. Si aggiungono ai 460 lanciati il novembre scorso, quando a causa di una risposta da lui considerata troppo debole, l’allora ministro della Difesa, Avigdor Lieberman si dimise aprendo una crisi di governo. Dunque, 952 razzi lanciati contro Israele nell’arco di meno di sei mesi. E nulla fa pensare che la situazione possa modificarsi in futuro. Le tregue durano poco e malgrado la mediazione egiziana nei confronti di Hamas, gli attacchi contro lo Stato ebraico riprendono. Israele risponde, colpisce a Gaza postazioni di Hamas e della Jihad islamica, segue poi un periodo di vigilata calma e poi si ricomincia.

L’ultima offensiva militare israeliana a Gaza è del 2014, l’operazione Margine di Protezione. Durò sette settimane e causò la morte di 67 soldati israeliani.  Israele, come d’abitudine, venne messo alla gogna, esposto all’esecrazione internazionale perché aveva fatto quello che farebbe qualsiasi altro stato aggredito da un nemico, difendersi. Quando le operazioni militari si arrestarono, l’IDF aveva distrutto una parte consistente dei tunnel sotterranei costruiti da Hamas. Non era e non è nei piani di Israele riconquistare Gaza, lasciata nel 2005 da Ariel Sharon.

L’ex generale Benny Gantz, principale antagonista di Benjamin Netanyahu alle ultime elezioni, ha chiesto ieri un cambio di strategia, rilevando un fatto chiaro a tutti, che quella attuale non porta a nessuna soluzione duratura. Gantz ha ragione, tuttavia non ha spiegato cosa farebbe lui se fosse a capo del governo, così come non si ricordano le sue proposte specifiche durante la campagna elettorale, né quando era Capo di Stato Maggiore dell’esercito.

Daniel Pipes, tra i maggiori esperti internazionali di questioni mediorientali e presidente dell’influente think tank Middle East Forum, in un articolo dal titolo emblematico Perché gli israeliani evitano la vittoria, ha scritto:

“Le guerre finiscono, come mostra l’esperienza storica, non arricchendo il nemico, ma privandolo delle risorse, riducendo le sue capacità militari, demoralizzando i suoi sostenitori e incoraggiando le rivolte popolari. A tal fine, gli eserciti, nel corso degli anni, hanno tagliato le strade per i rifornimenti, costretto le città alla fame, stabilito blocchi e applicato embarghi. In questo spirito, se Israele avesse intrapreso una guerra economica trattenendo alla fonte il denaro dei contribuenti, negando l’accesso ai lavoratori e interrompendo le vendite di acqua, cibo, medicine ed elettricità, le sue azioni avrebbero portato alla vittoria”.

L’attuale strategia adottata da Israele va esattamente in senso contrario a ciò che afferma Pipes. E’ stato infatti confermato che si continuerà a trasferire come se nulla fosse il combustibile necessario alla Striscia nonostante la chiusura del valico di Kerem Shalom, e questo allo scopo di non peggiorare ulteriormente la già disastrosa situazione umanitaria all’interno della Striscia causata da undici anni di governo di Hamas.

Quindi, da una parte Israele risponde militarmente al lancio di razzi che piovono sul sud del paese, colpendo a Gaza postazioni dei gruppi terroristici, e dall’altra provvede a dotare il nemico delle risorse atte alla sua sopravvivenza. Non è necessario Von Clausewitz per comprendere che si tratta di una strategia fallimentare.

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