Editoriali

Tenere duro

La partenza di Benny Gantz per gli Stati Uniti dove incontrerà a Washington la vicepresidente Kamala Harris e il Consigliere per la Sicurezza Jake Sullivan e quindi membri del Congresso di entrambi gli schieramenti, è non solo irrituale, (Netanyahu, nella sua veste di primo ministro non è stato consultato), ma mette in luce, se ce ne fosse ancora bisogno, le manovre in corso per condurre Israele a elezioni anticipate nel pieno della guerra a Gaza.

L’ingresso di Benny Gantz, leader dell’opposizione di governo nel Gabinetto di guerra, è uno dei pegni che Netanyahu ha pagato all’Amministrazione Biden, ostile al suo governo dal giorno stesso del suo insediamento.

Gantz è uomo di fiducia e a Washington sarebbe indubbiamente da preferirsi al bad fucking guy, attualmente in carica. Gantz, il quale, qualche mese fa, aveva dichiarato che lo scopo primario della guerra era il ritorno a casa degli ostaggi, è perfettamente in linea con la volontà di Washington che non ha, come priorità, la smilitarizzazione di Hamas e la netta vittoria di Israele nella Striscia, ma un accordo con il gruppo jihadista responsabile dell’eccidio del 7 ottobre, che porti un cessate il fuoco sufficientemente lungo da permettere a Joe Biden di lucrarvi elettoralmente facendo in modo che si prolunghi indefinitamente.

Tutto questo è propedeutico al progetto manifesto della Casa Bianca e annunciato a più riprese, la nascita di uno Stato palestinese, nonostante non lo vogliano Netanyahu e i suoi alleati e soprattutto non lo vogliano la maggioranza degli israeliani.

Per gli ideologi, la realtà è ininfluente, ciò che conta sono le chimere, e la chimera dello Stato palestinese come soluzione del conflitto aleggia da trent’anni, ed è stata alimentata da tutte le amministrazioni americane che si sono succedute, con un’unica eccezione, quella presieduta da Donald Trump, la più rivoluzionaria e piantata a terra relativamente alle sorti e al futuro di Israele.

Trump e i suoi consiglieri vedevano benissimo che la chimera era ciò che è, una pura illusione la cui consistenza si era già rivelata tale a partire dal 2000 con la chiusura di Arafat ad ogni compromesso e l’innalzamento continuo di pretesti per costringere Israele a cedere sempre di più, ma mai abbastanza.

I primi a non volere la nascita di uno Stato palestinese sono sempre stati gli arabi, e per un motivo molto semplice, farlo nascere li obbligherebbe a riconoscere la legittimità territoriale di Israele. Ed è questa, per motivi squisitamente religiosi, la ragione per la quale, nonostante i cedimenti di Israele, non è mai nato. Ci sono poi le ragioni ovvie che hanno spinto e spingono Netanyahu a opporsi, ovvero la sicurezza nazionale. Uno Stato palestinese in Cisgiordania, a pochi chilometri da Tel Aviv, dopo l’esperimento di Gaza, comporterebbe un apparato militare di vigilanza costante, sarebbe per l’Iran uno straordinario cavallo di Troia situato nel ventre dello Stato ebraico. Tutto questo per i sognatori americani è irrilevante. Non sono bastati i vent’anni di permanenza in Afghanistan dove la democrazia avrebbe dovuto dare frutti duraturi invece del ritorno dei talebani, non è bastato il fallimento iracheno, là dove la democrazia, ancora, si sarebbe realizzata, non è bastata la politica di appeasement con l’Iran che ne ha solo incrementato l’insidiosità. Non è bastato, infine l’ulteriore fallimento nel cercare di fare di un sanguinario ras egiziano che si fingeva palestinese, un nation builder. Tutto questo è come se non fosse mai accaduto, come se la pagina della storia fosse bianca.

L’argine all’esiziale progetto americano è Netanyahu, è il governo in carica, dove coriacei nazionalisti, spesso sopra le righe, ma assai realisti, sanno esattamente di che stoffa sono fatti i loro interlocutori arabi, li conoscono perfettamente perché sono nativi del luogo come loro, radicati in una realtà di cui respirano l’odore fin da bambini, non come i funzionari americani in carica, per i quali il Medio Oriente è sostanzialmente frutto di astrazioni, di teoremi i cui postulati sono completamente errati.

Le elezioni anticipate in Israele, mentre a Gaza ancora si combatte e Hamas pur non avendo più il controllo del territorio, che è già di per se un risultato di grande rilevanza, è ancora operativo, sarebbero il modo per tentare di disarcionare Netanyahu, anche se poi, il risultato potrebbe sorprendere ancora. Nessun politico né in Israele né fuori da Israele ha smentito così tante volte i de profundis che gli erano stati intonati.

Non ci saranno accordi al ribasso, ha dichiarato il premier, rincalzato da Bezalel Smotrich, il più netto e lucido al governo insieme all’altro “appestato” Itmar Ben Gvir, riguardo alla necessità di finire il lavoro a Gaza, smantellare Hamas, e se è possibile, sperando sia possibile, salvare la vita agli ostaggi, non si sa ancora esattamente quanti, che i carnefici del 7 ottobre tengono ancora prigionieri.

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