Israele e Stati Uniti

Chiedere a Israele di perdere la guerra

Difficile dare torto a Michael Oren, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, quando afferma che il contrasto attuale tra Israele e Stati Uniti rappresenta “La peggiore crisi tra i due paesi da settanta anni a questa parte”.

Oren istituisce il paragone con il 1956, quando Eisenhower minacciò ritorsioni contro Israele se non avesse lasciato la penisola del Sinai, “Si tratta di un cambiamento di rotta durante una guerra che Israele non ha iniziato. Si è partiti da una dichiarazione di sostegno, per poi arrivare da parte della Casa Bianca a chiedere di fermare la guerra”.

E fermare la guerra a Gaza è in effetti l’obiettivo malcelato dell’Amministrazione Biden da almeno tre mesi a questa parte. La motivazione è assai semplice da riassumere. A ormai solo sette mesi dalle prossime elezioni americane il dissenso domestico nei confronti di Biden per il suo appoggio alla guerra di Israele contro Hamas si è fatto sempre più marcato, al punto che spesso, durante i suoi interventi pubblici e i suoi primi comizi elettorali, è stato interrotto numerose volte mentre parlava da manifestanti che gli chiedevano conto di Gaza.

Il megafono della propaganda islamica coniugato a quello della sinistra, ha trasformato l’operazione militare di Israele all’interno della Striscia in uno sterminio di civili senza precedenti, nonostante i numeri forniti da Hamas stesso e palesemente inattendibili affermino il contrario. Ma la propaganda ha notoriamente come scopo quello di creare una realtà parallela in cui la verità è menzogna e la menzogna è verità.

Mai nessuna guerra urbana recente è stata combattuta da un esercito con una tale attenzione alla popolazione civile in un contesto di difficilissima operatività dove essa viene usata come protezione per i terroristi e quindi come carne da macellohttp://www.linformale.eu/israele-ha-adottato-piu-misure-per-prevenire-le-vittime-civili-di-qualsiasi-altra-nazione-nella-storia/. Gli americani, che nelle recenti battaglie di Falluja e Mosul non hanno lontanamente applicato i criteri richiesti a Israele, lo sanno bene, ma su tutto domina regina l’ipocrisia e la necessità di mostrarsi presso l’opinione pubblica estremamente zelanti relativamente ai criteri umanitari che solo Israele al mondo è tenuto a rispettare.

Nonostante le limitazioni poste, in sei mesi Israele è riuscito a ottenere risultati eccellenti sul terreno. Oggi, nella Striscia la struttura portante di Hamas non controlla più il territorio, la maggioranza dei suoi battaglioni sono stati distrutti e restano qui e là a combattere sacche sparpagliate di jihadisti. Gli ultimi quattro battaglioni si trovano barricati a Rafah, all’estremo sud di Gaza ai confini con l’Egitto, ed è lì che Israele conta di stanarli per potere vincere la guerra.

È su questo obiettivo fondamentale e finale che si sta consumando l’attrito maggiore tra Gerusalemme e Washington.

La Casa Bianca non vuole l’operazione di terra paventando un’ingente perdita da parte dei civili, essendosi addensati a Rafah circa un milione e cinquecentomila sfollati, Israele sa che senza questa operazione la guerra sarebbe persa, perché Hamas non ha mai pensato di potere sconfiggere militarmente il più avanzato esercito del Medio Oriente, ma di riuscire a sopravvivere, di costringerlo a non completare l’operazione militare e a lasciare la Striscia prima di averlo fatto. A questo scopo a Hamas serve maledettamente un cessate il fuoco che sia il più possibile prolungato, idealmente definitivo, il problema è che questo cessate il fuoco serve anche a Joe Biden per mero lucro elettorale.

Dunque Israele potrà vincere la guerra solo e unicamente se si opporrà definitivamente alle esigenze politiche degli Stati Uniti.

Nel 1956, durante la crisi di Suez, Ben Gurion cedette a Eisenhower, ma non si trattava di una rinuncia così grande come quella che Joe Biden chiede a Benjamin Netanyahu, quella di perdere la guerra e compromettere la propria sicurezza.

 

 


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