Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

I propagandisti antisionisti in cattedra a Torino

Chiunque si interessi di questioni relative al conflitto arabo-israeliano e all’antisionismo, prima o poi, inciamperà nello studioso rispondente al nome di Roberto Beneduce. Si tratta di un antropologo in forza al Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, il perno accademico attorno al quale ruotano le attività anti-israeliane del Piemonte. Beneduce tiene numerosi corsi di insegnamento e un laboratorio intitolato “Il ciclo della violenza e i nodi della memoria. Apartheid, genocidi, colonialismo, a partire dalla questione palestinese”, nella cui scheda informativa troviamo scritto:

“Il caso palestinese, in ragione della perdurante violenza e della recente e illegale annessione di ulteriori territori, offrirà lo spunto e il paradigma di riferimento per analizzare altri contesti (Indios, Indiani nell’America del Nord, Herero, Armeni, Ebrei, Curdi, Tutsi, Cambogia, Indonesia, ecc.), all’interno di un’analisi comparativa di differenti situazioni, tanto contemporanee quanto passate e relative al contesto coloniale (analisi degli archivi coloniali relativi al Kenya, all’Algeria, al Mozambico, alla Repubblica Democratica del Congo, ecc.)”.

Inoltre, nella scheda di presentazione del laboratorio si consiglia la lettura del testo di Samah Jabr, Dietro i fronti. Cronache di una psichiatra psicoterapeuta palestinese sotto occupazione. Il testo è pubblicato dalla cooperativa editoriale Sensibili alle foglie, fondata da Renato Curcio, terrorista delle Brigate Rosse. Samah Jabr è una psichiatra palestinese seguace di Franz Fanon e attivista anti-israeliana.

Nel marzo dello scorso anno, la Jabr è stata invitata dal prof. Beneduce, in collaborazione con Associazione Frantz Fanon, Unione Culturale Franco Antonicelli, Progetto Palestina, BDS Torino, per due incontri tenutisi al Campus Luigi Einaudi di Torino. L’autrice ha discusso con altri ospiti, tra i quali Amedeo Rossi, esponente del movimento BDS torinese. Quest’ultimo è autore di un testo intitolato Il muro della Hasbarà. Il giornalismo embedded de «La Stampa» in Palestina, nel quale analizza la presunta propaganda sionista del noto quotidiano nazionale. Il libro gode di una prefazione di Moni Ovadia.

Ma torniamo a Beneduce, animatore di quasi tutte le attività antisioniste del Dipartimento di Culture, Politica e Società, che usa le sue lezioni per diffondere tesi palestiniste sconfessate e prive di fondamento scientifico. Nel corso di “Antropologia del corpo e della violenza”, il docente inserisce tra gli obiettivi formativi lo studio della “necropolitica”, ovvero “la produzione della morte nella colonia, nella post-colonia, nei conflitti contemporanei (‘terrorismo’, ‘guerre umanitarie’, ecc.); genocidi, ‘genocidio per sostituzione’, etnocidi, ‘pulizia etnica’ (Palestina, ex-Jugoslavia, ecc.)”. Non sorprende che Beneduce associ l’espressione “pulizia etnica” alla Palestina, infatti, tra i testi da studiare indica La pulizia etnica della Palestina del falsario Ilan Pappé.

Nella sua carriera di antisionista, il professore torinese ha sostenuto il boicottaggio del Technion di Haifa, accusato di essere “coinvolto nell’occupazione e nell’apartheid della Palestina”. Nel 2016 ha tenuto una conferenza dell’Israeli Apartheid Week, svoltasi al Campus Einaudi. Nel gennaio del 2020, sempre nei locali dell’università, ha preso parte all’ennesima conferenza organizzata da Progetto Palestina. Ospite era Ahmed Abu Artema, giornalista e attivista palestinese, che definì Gaza “peggiore di una prigione” e la paragonò a un “campo di concentramento” nel quale i palestinesi sarebbero privati delle più elementari cure mediche, dell’acqua e dell’elettricità. Affermazioni che non hanno riscontro nella realtà. Nel giugno del 2020, Beneduce ha partecipato, con Moni Ovadia, a un webinar organizzato dal BDS contro i soprusi israeliani.

La questione è sempre la stessa, da anni, perché l’università di Torino non vigila sui contenuti dei corsi di studio? Perché non si dissocia pubblicamente dalle attività dei suoi docenti? Perché non garantisce un dibattito serio sul conflitto arabo-israeliano? Attendiamo risposte e una seria azione contro i propagandisti mascherati da intellettuali.

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