Editoriali

La necessità della chiarezza: Gariwo e il caso Arrigoni

Qui su L’Informale, nei mesi e nei giorni scorsi abbiamo pubblicato una serie di interventi che avevano come tema l’associazione Gariwo-La Foresta dei Giusti.

Ne abbiamo  principalmente criticato l’assunto di base, l’idea che la qualifica di “Giusto”, nata per definire i non ebrei che durante la Seconda guerra mondiale si prodigarono a rischio delle loro vite per salvare gli ebrei perseguitati dal nazi-fascismo, fosse estendibile a chiunque abbia operato a fin di bene. Questo non perchè non ci siano, ovviamente, tante persone che con le loro azioni di grado e ordine diverso, lo abbiano fatto, ma perchè l’idea di un bene così allargato si presta facilmente all’aribitrarietà e può essere piegata a esigenze ideologiche e a partigianerie.

Il concetto ebraico di “Giusto” è invece assai specifico, non ammette ambiguità, simpatie o antipatie radicate soggettivamente. Necessita, come al Memoriale di Yad Vashem, di un severo riscontro empirico, di fatti comprovati. Solo dopo che essi sono stati sottoposti al vaglio di una commissione, si può procedere a onorare chi veramente è stato un Giusto.

Negli anni, Gariwo, ha associato il proprio nome a una serie di iniziative le quali, pur non essendo originate direttamente da esso, gli sono tuttavia riconducibili. Così è avvenuto che a Pistoia, nel 2013, alla presenza di due suoi autorevoli rappresentanti, venisse proclamato Giusto, Vittorio Arrigoni, il pasionario filopalestinese, ucciso a Gaza nel 2011 da un gruppo di estremisti salafiti, per il quale Israele era una entità demoniaca. Ancora nel 2019, a Trevi, venne inaugurato un altro giardino al quale si annunciava l’adesione di Gariwo “una ONLUS che lavora per fare conoscere i Giusti”, e in cui Arrigoni figurava come Giusto.

Dall’iniziativa di Trevi, ma non da quella di Pistoia, Gariwo ha tentato di prendere le distanze con un articolo pubblicato su Moked  il 20 marzo del 2019, sostenendo di non ritenersi responsabile delle decisioni di chi “pur ispirandosi al lavoro e al modello di Giardino proposto da Gariwo”, gestisce “autonomamente tutte le proprie iniziative…Ciò vale anche per il Giardino dei Giusti di Trevi, i cui promotori hanno scelto in piena autonomia di dare il riconoscimento a Vittorio Arrigoni e a Walter Tobagi, Andrea Riccardi, Vittorio Formentano, tra gli altri onorati quest’anno nella cittadina umbra”.

Una presa di distanza così debole non è nè plausibile nè  sufficiente. Una associazione che promuove una iniziativa che prima di essa non era in corso, non può lavarsi le mani da tutte quelle iniziative che ad essa esplicitamente si richiamano. Serve una dissociazione netta e perentoria. Questo sarebbe dovuto accadere nel caso della iniziativa di Trevi e nel caso di quella di Pistoia.

Non si può considerare Giusto chi promuoveva attivamente la causa di coloro che vorrebbero vedere Israele cancellato. Non si può limitarsi a dichiarare, “Noi non siamo responsabili”, quando, come nel caso di Pistoia, a presenziare all’iniziativa, dunque avallandola, c’erano due propri incaricati. Ed è ulteriormente grave che l’UCEI, a cui Gariwo è associata, non abbia sentito il bisogno, attraverso la sua presidente, Noemi Di Segni, di prendere ufficialmente una posizione su questi episodi. In entrambi i casi sarebbe necessario dichiarare senza esitazione “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” in modo da dissipare ogni ambiguità o ipotizzabile connivenza.

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