Editoriali

La risposta di Israele e il freno americano

Una cosa deve essere chiara, l’attacco dell’Iran su Israele avvenuto sabato notte con trecento droni e missili, di cui il 99 per cento intercettati e distrutti dal sistema difensivo, non è la “risposta” all’attacco di Israele al consolato iraniano di Damasco della settimana scorsa, (in realtà un quartiere generale locale delle Guardie Rivoluzionarie), ma fa parte della serrata offensiva contro lo Stato ebraico che il regime di Teheran ha intrapreso da decenni attraverso i propri delegati, in cima a tutti Hezbollah, e quindi Hamas e la Jihad islamica.

Subito dopo l’attacco, l’Amministrazione Biden, che poche settimane prima del 7 ottobre 2023 aveva scongelato fondi per circa otto miliardi di dollari a favore di Teheran, si è affrettata a congratularsi con Gerusalemme per averlo neutralizzato, specificando che, nel caso di una controreazione israeliana, gli Stati Uniti non darebbero il proprio appoggio.

L’Amministrazione Biden prosegue in modo palese la linea conciliatoria e morbida con l’Iran perseguita in modo deciso da Barack Obama e culminata nel 2014 con l’accordo sul nucleare iraniano fortemente osteggiato da Israele, dal quale Donald Trump uscì nel 2016. La filosofia dell’Amministrazione Biden prevede che con l’Iran, il maggiore agente di destabilizzazione regionale, si debba agire attraverso il  contenimento e in virtù di esso fare accordi e concessioni.

Il rientro nell’accordo sul nucleare che Joe Biden spingeva non è andato in porto unicamente per una ragione, lo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio del 2022. Era francamente difficile fare un accordo con chi forniva alla Russia i droni per attaccare l’Ucraina alla quale si fornivano (con il contagocce) le armi per difendersi dall’aggressione russa e quindi da quegli stessi droni, senza perdere la faccia, ma la musica non è cambiata. L’Iran, per l’Amministrazione Biden, non va toccato, e non va toccato perché si paventa che, così facendo, si giungerebbe a un conflitto di proporzioni maggiori di quello in corso con vaste ripercussioni internazionali soprattutto sul mercato petrolifero.

Il problema è, che il confronto diretto di Israele con l’Iran è inevitabile, e che avvenga o non avvenga adesso o avvenga in un futuro prossimo, poco cambia. La dinamica geopolitica mediorientale, e a monte quella della volontà di potenza iraniana, sono inesorabili.

Come la Germania negli anni ’40, l’Iran persegue una politica votata all’egemonia e spinta da un disegno messianico-imperialista, che, diversamente da quello perseguito dal Terzo Reich, è esplicitamente religioso e riguarda la supremazia nel mondo islamico. All’interno di questo disegno, Israele deve essere spazzato via, così come l’Arabia Saudita, custode dei luoghi sacri dell’Islam, deve soccombere.

L’Iran, attraverso i suoi delegati in Libano, Siria, Iraq e Yemen, ha allungato da tempo i propri tentacoli al fine di un espansionismo esplicito che non solo non è diminuito nel corso dell’ultimo decennio ma è aumentato, sconfessando di fatto le politiche americane finalizzate al contenimento e quelle di supporto europee (non va dimenticato che nell’accordo per il nucleare iraniano, tra i firmatari c’erano Francia, Germania e Gran Bretagna).

Ciò nonostante gli Stati Uniti continuano a ritenere che la cosa migliore sia quella di trovare con l’Iran una intesa, ma Israele questa intesa non la può trovare, così come non può trovare una intesa con Hamas.

Dopo l’attacco su suolo israeliano da parte iraniana avvenuto ieri, Israele è impossibilitato a non rispondere malgrado il freno che il suo principale alleato vuole porgli. Nessuno Stato sovrano attaccato da un altro Stato resta inerte. Chiedere a Israele di non rispondere perché si arriverebbe all’escalation, non solo è ipocrita (l’escalation di fatto è in pieno corso), ma significherebbe metterlo in una posizione di debolezza rafforzando il regime degli ayatollah.

La guerra a Gaza è in pieno stallo e lo è unicamente perché è stata commissariata dagli Stati Uniti che hanno fatto in modo che oggi il suo esito sia incerto, ora si tratta di condizionare Israele ulteriormente frenando la sua legittima risposta.

Il futuro di Israele, sia riguardo all’Iran, sia riguardo a Gaza. non può dipendere dalla volontà americana. C’è da augurarsi che Benjamin Netanyahu ne sia convinto.

 

 

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