Islam e Islamismo

L’utile Papa della religione palestinista

Sabato 14 gennaio Mahmoud Abbas, alias Abu Mazen, presidente dell’ANP per il dodicesimo anno di un mandato elettorale che ne prevedeva quattro, ha inaugurato la sede dell’ambasciata palestinese presso la Santa Sede. Quali saranno le funzioni dell’ambasciata di uno “stato” non esistente e rappresentante un “popolo” la cui narrazione è stata fabbricata a tavolino?

Innanzitutto bisognerebbe capire la vera natura delle relazioni tra Vaticano e ANP. Per farlo, ma in maniera estremamente sintetica, può essere utile leggere direttamente dal sito ufficiale in lingua inglese dell’Ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede. La presentazione della missione della nuova istituzione chiarisce il livello di ipocrisia, al limite del ridicolo, su cui poggia il rapporto Vaticano-ANP: “Santa Sede e Palestina hanno un rapporto di lunga data basato sui valori condivisi di amore, pace e giustizia per tutti i figli di Dio”. La nascita di Israele, che evidentemente non condivide lo stesso padre di vaticanisti e palestinisti, è considerata, una riga più in basso nella stessa pagina, una catastrofe (Nakba). Parole, bugie e (tante) omissioni. Ma non si tratta – come sarebbe almeno auspicabile considerando l’essenza di questo sciagurato rapporto diplomatico – del Confiteor, semplicemente della narrazione palestinista, alla quale il Vaticano si presta convintamente a fare da megafono. Non sfuggirà infatti al lettore più attento il tentativo di frullare, in un sunto molto parziale e deislamizzato, organizzazioni terroristiche (OLP) e pseudogoverni dittatoriali ad interim (ANP) sotto la stessa equivoca dicitura “Palestina”. Ambasciator non porta pena, rinnova la narrazione. Lo si era già potuto constatare, sul fronte opposto, nel bollettino emesso dall’ufficio stampa della Santa Sede in occasione della firma dell’Accordo Globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina lo scorso 26 giugno 2015.

Ormai non sorprende più veder aggirarsi nelle stanze del Vaticano un conclamato terrorista il cui obiettivo più moderato – quello dichiarato davanti alle telecamere per gli occidentali – è la creazione di uno stato judenfrei su terre appartenenti alla nazione ebraica. Non sorprende più perché le argomentazioni dei padri del sacro Concilio (Vaticano II, 1962-1965) – in particolare la dichiarazione Nostra aetate, che nella sua sezione più importante affermava che l’antisemitismo va “deplorato” e che non ha alcuna legittimazione teologica – sono più datate della narrazione di cui è portatore Abu Mazen. E la politica è anche arte del compromesso: per poter ottenere agevolazioni fiscali e garanzie circa gli interessi e le proprietà del Vaticano presenti nei territori oggi amministrati dall’ANP, lo Stato di cui Bergoglio è umile servitore deve per forza stringere accordi anche con il dittatore Abu Mazen. Non stupisce nemmeno il vergognoso silenzio del pontefice sulle pratiche terroristiche e antisemite del suo gradito ospite. Quando il politico dimostra di non possedere il coraggio necessario per affrontare le sfide del domani, l’uomo di fede dovrebbe dimostrare di avere almeno l’onestà intellettuale per riconoscere i problemi dell’oggi. Ma questa è una virtù, l’onestà di guardare al mondo senza il filtro della demagogia, che Papa Bergoglio non possiede. Deus vult. La commedia deve proseguire, il palestinismo diffonde la sua narrazione, i complici condividono e l’utile Papa, una mano sugli occhi, una sulla bocca, se ne fa partecipe. Consapevolmente.

Tornando al sito dall’ambasciata, le sezioni News e Media sono le più interessanti per capire il genere di “cultura” di cui l’ambasciata si fa promotrice, una vera e propria religione della mistificazione. Trovano ampio spazio notizie ed eventi utili alla “causa”, come la canonizzazione delle due suore miracolose del maggio 2015: nate nell’Impero Ottomano, morte una nel 1878 sotto gli Ottomani, l’altra nel 1927 durante il Mandato britannico, risorte infine sui manifesti della propaganda unificata Vaticano-ANP come “palestinesi”. Ampio spazio è dato anche alla visita di Papa Bergoglio in Israele del maggio 2014, incluso lo squallido sfruttamento dell’utile Papa – con la diffusione in mondovisione, durante la messa nella piazza della Mangiatoia di Betlemme, di una gigantografia in cui Giuseppe indossava una kefyah mentre il bambino Gesù era avvolto dallo stesso cencio, nelle vesti di un nuovo Arafat – per diffondere la propaganda palestinista intesa a cancellare la storia ebraica. Proprio in quest’ultima occasione, il Palestinian Museum – salito agli onori della cronaca perché nel giorno della sua inaugurazione, avvenuta nel maggio 2016 dopo quasi 20 anni di lavori ed un costo complessivo di circa 24 milioni di dollari, le sue sale espositive rimasero tristemente vuote – promosse una mostra, In the Presence of the Holy See, in cui vennero affiancate famose opere a tema biblico di pittori europei e foto contemporanee riguardanti i palestinesi. Quelle immagini fanno ancora oggi bella mostra di sé sia sul sito dell’ambasciata, sia sul sito del Palestinian Museum. Sono estremamente significative circa il messaggio di cui si fa portatrice la propaganda – e l’ambasciata presso la Santa Sede – palestinese, ma anche del livello “culturale-artistico” ospitato nel principale museo del palestinismo (per il resto, considerando le attenuanti di una storia plastica da costruire ex novo, ancora parecchio carente nel trovare qualcosa da mostrare ai visitatori). Eccone alcune.

Titolo: Incredulità di San Tommaso (1602 ca.). Autore: Michelangelo Merisi noto come il Caravaggio. Foto sovrapposta: un ufficiale della polizia di frontiera israeliana controlla la carta d’identità di un palestinese al passaggio di Qalandiya.

Il messaggio propagandistico di questa immagine è tanto chiaro quanto semplice: l’ufficiale israeliano è il dubbioso e sospettoso Tommaso, il “povero palestinese” è Gesù; nessun cenno ovviamente all’importanza e alle motivazioni di quei controlli.

Titolo: Sacrificio di Isacco (1635).
Autore: Rembrandt.
Foto sovrapposta: un soldato israeliano indossa una mascherina.

 

Il messaggio propagandistico anche qui segue la logica della vittima e del carnefice, a parti ovviamente invertite: il “povero palestinese”, nelle sembianze della vittima sacrificale, è tenuto fermo dalla mano del soldato israeliano pronto a tagliargli la gola.

Titolo: Madonna del Rosario (1607 ca.).
Autore: Michelangelo Merisi noto come il Caravaggio.
Foto sovrapposta: soldati israeliani arrestano un palestinese.

 

Il messaggio propagandistico anche qui, in una foto che ritrae un’immagine (l’arresto di una persona) che potrebbe tranquillamente provenire da qualunque luogo della terra, il “povero palestinese” veste i panni della vittima. Le persone inginocchiate implorano la grazia per la “vittima”, qui associata alla Madonna o al bambino che, nel dipinto del Caravaggio, è in braccio alla madre.

Titolo: Deposizione Borghese (1507).
Autore: Raffaello Sanzio. Foto sovrapposta: un soldato israeliano indica una direzione mentre un “povero palestinese” a terra, presumibilmente ferito, è sorretto per le gambe da un altro uomo.

 

Il messaggio propagandistico è qui, se possibile, ancora più audace e irriverente: il “povero palestinese” è il Gesù morto di Raffaello, mentre il “carnefice”, il soldato israeliano, assiste alla scena con distacco. L’antica vergognosa accusa di deicidio, in una composizione elaborata con Photoshop, spacciata per arte.

Ve ne sono molte altre ancora. Vengono sfruttati, per la propaganda antisemita del palestinismo, altri temi riguardanti ebraismo e/o cristianesimo, falsificandone il messaggio originario nel tentativo di alimentare pregiudizio e disinformazione nei confronti degli Ebrei e dello Stato di Israele. Compaiono la crocifissione di Pietro (interpretata ovviamente da un islamico palestinese), la decapitazione di Giovanni Battista e via via altri temi religiosi. Il senso comune di tutte queste immagini è di associare il “povero popolo palestinese” alla figura di Gesù, vittima dei “perfidi ebrei” (o israeliani). E’ antisemitismo (o antigiudaismo o antisionismo) delle origini – tanto caro al cristianesimo per quasi due millenni – mescolato alla teologia della sostituzione rivisitata in salsa terroristico-islamica, che trovano origine nel rifiuto all’esistenza di uno stato non musulmano indipendente su terre che il mondo islamico considera parte del dār al-Islām. Il tutto sorretto dal sentimento maggiormente diffuso dal 1948 nel mondo arabo-islamico nei confronti dello Stato di Israele: l’invidia.

Non mancano anche immagini a tema non religioso, il cui scopo è però sempre lo stesso: delegittimare Israele, tramutando in carnefice l’intero popolo israeliano, e scritturare il “povero popolo palestinese” per il ruolo dell’eterna vittima. In particolare l’immagine che segue è significativa perché va a toccare un altro tema che la propaganda palestinista ama utilizzare, nei suoi slogan e nelle sue campagne di mistificazione, distorcendo completamente la realtà storica.

Sovrapposizione di due foto distinte. In alto, in bianco e nero, un cosiddetto “campo profughi” nella striscia di Gaza di parecchi decenni fa. In basso, a colori, un soldato israeliano di guardia al posto di controllo di Qalandiya. Innegabile l’immediata associazione di questa immagine, sottolineata anche dalla differenza cromatica, con un campo di concentramento nazista: il soldato di guardia sulla torretta e le baracche dei prigionieri sullo sfondo. L’ebreo israeliano che, nella propaganda antisemita del palestinismo, da vittima dei nazisti diventa egli stesso nazista. Spazzatura degna dell’ANP o dell’OLP o della “Palestina” (qualunque significato si dia a quest’ultimo termine). Goebbels non avrebbe saputo fare di meglio.

In conclusione, è importante ricordare come queste immagini furono allestite nel cortile della Chiesa della Natività esclusivamente per la visita di Papa Bergoglio, il quale non può non aver visto questo scempio – considerando oltretutto l’insistenza e la malignità di quel modo di travisare la realtà tipico del palestinismo e il fatto che, come ricorda l’agenzia di stampa palestinese Ma’an News, quelle stesse immagini vennero posizionate anche in altri luoghi visitati dal pontefice. Occorre inoltre ricordare che questo genere di propaganda – chiaramente mistificatorio ed antisemita, sia nel messaggio sotteso a molte delle immagini, sia per lo scopo che esse si prefiggono – si può oggi trovare ovunque nei territori amministrati dall’ANP. Chi scrive, non più tardi del luglio 2016, ha potuto verificare come tutti i negozi di souvenir presenti a Betlemme mostrino in bella vista quasi esclusivamente questo genere di messaggi. L’ultima immagine di Betlemme, la città della natività, di un turista americano o italiano o australiano, poco prima di salire sull’autobus che lo riporterà nell’albergo di Gerusalemme, è il “Cristo palestinese” assassinato dai “perfidi ebrei”. Propaganda ignobile di cui la Chiesa Cattolica sembrava aver fatto ammenda ora rappresentano l’ultimo acquisto del turista facilmente condizionabile in visita nella città della natività di Gesù. Ciò è possibile, nel silenzio assoluto e vergognoso del Vaticano e di Papa Bergoglio, anche perché “Santa Sede e Palestina hanno un rapporto di lunga data basato sui valori condivisi di amore, pace e giustizia per tutti i figli di Dio”.

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