Storia di Israele e dell’Ebraismo

Un grande Giusto: Armin T. Wegner (1886-1978)

L’orrore. Null’altro. Basta e avanza. La straordinaria documentazione fotografica in bianco e nero di Armin Wegner racconta il primo genocidio del Novecento, quello del popolo armeno. All’epoca (aprile 1915), Wegner era un soldato dell’esercito tedesco con competenze mediche. Si era guadagnato sul campo la Croce di Ferro per l’impegno profuso come infermiere volontario nei confronti dei feriti sul fronte polacco.

Fra l’autunno del 1915 e il maggio del 1916, a seguito del Feldmarescallo Von der Golz comandante della VI armata ottomana attraverserà l’Anatolia, la Mesopotamia e la Siria. Avrà modo, durante questo periodo di tempo, di assistere come soldato alle atrocità commesse dai turchi nei confronti degli armeni e di raccogliere quelle testimonianze, fotografie, documenti, appunti, lettere, che ancora oggi costituiscono il corpus più importante e incontrovertibile di ciò che accadde. La sua attività gli costò l’arresto da parte dei tedeschi, allora alleati dell’impero ottomano, e il richiamo in Germania. Malgrado una piccola parte della documentazione fotografica raccolta venne scoperta e distrutta, Wegner fu in grado di portare in salvo clandestinamente, nascosti nella cintura, la maggioranza dei negativi.

Negli ultimi tempi ho scattato molte fotografie. Mi hanno raccontato che Djemal Pascià, il carnefice siriano, ha proibito, pena la morte, di scattare fotografie nei campi profughi. Io conservo le immagini di terrore e di accusa legate sotto la mia cintura. Nei campi di Meskené e di Aleppo ho raccolto molte lettere di supplica che tengo nascoste nel mio zaino in attesa di consegnarle all’ambasciata americana a Costantinopoli, perché la posta non le avrebbe inoltrate. Io so di commettere in questo modo un atto di alto tradimento, e tuttavia la consapevolezza di aver contribuito per una piccola parte ad aiutare questi poveretti, mi riempie di gioia più di qualsiasi altra cosa io abbia fatto”.

Wegner non cesserà più di rendere testimonianza e di battersi senza tregua per onorare la memoria delle vittime e la verità di ciò a cui aveva assistito. Nel febbraio del 1923 scriverà a Woodrow Wilson un articolo-appello appassionato e disperato, una intensa perorazione a favore degli armeni.

Quando il governo turco nella primavera del 1915 passò all’esecuzione del suo inconcepibile piano di sterminio ed eliminazione di due milioni di armeni dalla faccia della terra, le mani dei loro fratelli europei di Francia, Inghilterra e Germania erano bagnate dal sangue che essi —nella fatale cecità del loro fraintendimento — avevano versato a fiumi, e nessuno aveva impedito ai truci dittatori della Turchia di portare a termine le loro atroci torture, paragonabili solo a quelle che un delinquente pazzo potrebbe concepire. Così hanno cacciato un popolo intero, uomini, donne, vecchi, bambini, madri in attesa, lattanti, nel deserto arabico con l’unico obiettivo di farli morire di fame”.

L’appello, che chiedeva al presidente americano di intervenire per creare un’Armenia indipendente non ebbe alcuna risposta, così come non ebbe risposta la lettera che Wegner scrisse l’11 aprile 1933 ad Adolf Hitler  recapitata alla Cancelleria del Reich. Mentre all’epoca, poche settimane dopo il bando delle attività commerciali degli ebrei, pochissimi capirono che questo atto avrebbe dato il via a un crescendo persecutorio, Wegner, con profetica lucidità, fu in grado di intuirlo.

«Abbiamo accettato in guerra il sacrificio di sangue di dodicimila ebrei, e ora possiamo – se abbiamo un minimo di equità nel cuore – togliere ai loro genitori, figli, fratelli, nipoti, alle loro donne e sorelle ciò che si sono meritati nel corso di generazioni, il diritto a una patria e a un focolare? Quale sventura è questa per coloro che hanno amato più di se stessi il Paese che li ha accolti! Signor Cancelliere del Reich, non si tratta solo del destino dei nostri fratelli ebrei. Si tratta del destino della Germania! In nome del popolo per il quale ho il diritto non meno che il dovere di parlare, così come qualsiasi altro che viene dal suo sangue, come tedesco a cui non è stato dato il dono della parola per rendersi complice col silenzio quando il suo cuore freme di sdegno, mi rivolgo a Lei: Fermate tutto questo! (…) La vergogna e la sciagura che a causa di ciò si abbatterà sulla Germania non saranno dimenticate per lungo tempo! Infatti, su chi cadrà un giorno lo stesso colpo che ora si vuole assestare agli ebrei se non su noi stessi?».

Questa lettera costerà a Wegner l’arresto da parte della Polizia Segreta di Stato, a seguito del quale venne torturato e internato nei campi di concentramento di Oranienburg, Bòrgermoor, Lichtenberg. Dopo il suo rilasciò partì per l’Italia dove visse in esilio fino alla sua morte, avvenuta a Roma, il 17 maggio del 1978.

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Il destino ha voluto che Armin Wegner fosse una specie di cerniera tra il popolo armeno e quello ebraico, il testimone oculare del primo genocidio del Ventesimo secolo, e colui che capì prima di molti altri la sciagura immane che si sarebbe abbattuta sugli ebrei tedeschi. Gli eventi ebbero a dimostrargli come, nel secondo caso, la sciagura prevista sarebbe stata quelli degli ebrei di tutta Europa.

Questa profonda vicinanza al popolo armeno e a quello ebraico è testimoniata in modo toccante dal fatto che egli è l’unico il cui nome si trova sia a Yad Vashem in Israele sia a Ervan, sulla Collina delle Rondini, dove sorge il monumento e il museo che ricorda il genocidio armeno. Lì riposano anche parte delle sue ceneri.

Questo zaddiq, sul soffitto della sua stanza di lavoro a Stromboli aveva fatto incidere le seguenti parole: «Ci è stato affidato il compito di lavorare a un’opera, ma non ci è dato di completarla».

Possano essere incomplete come quella di Armin T. Wegner le opere di tutti coloro che hanno a cuore la giustizia e la verità.

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