Editoriali

Colpirne uno per educarne cento: Il caso Bensoussan

La notizia dell’assoluzione di Georges Bensoussan anche in appello dall’accusa di odio razziale non può non rallegrare.

Bensoussan, uno dei massimi studiosi contemporanei, era stato messo alla gogna da un insieme di associazioni contro il razzismo e l’islamofobia.  Durante una trasmissione radiofonica, lo storico si era limitato a commentare una frase, oltretutto di un sociologo algerino, il quale affermava che, nel lessico famigliare di numerose famiglie arabe, “ebreo” viene insegnato come insulto fin dalla tenera età. Sì, aveva glossato Bensoussan, in queste famiglie l’antisemitismo “lo si succhia con il latte materno”.

Lo hanno voluto portare in tribunale, l’autore di libri fondamentali come “L’eredità di Auschwitz, Come ricordare?”, “Storia della Shoah”, “Juifs en pays arabes.: Le grand déracinement 1850-1975”, esponendolo alla pubblica gogna. Il reato del nuovo millennio, per prendere in prestito il titolo di un pamphlet scritto a quattro mani tempo fa da Robert Spencer e David Horowitz è appunto “l’islamofobia”.

E’ lo stigma à la page, la nuova lettera scarlatta con cui vengono bollati tutti coloro i quali osano mettere in discussione la vulgata imperante secondo la quale l’Islam è solo luce, armonia, pace.

Nessuna altra religione ha il privilegio di avere intorno a sé un cordone sanitario così serrato. Certo, gli ebrei e i cristiani, se vengono dileggiati Mosè e Gesù o i simboli della loro religione non usano farsi esplodere e fare stragi. Bisogna fare più attenzione con i seguaci del profeta, (non tutti, beninteso). Alla peggio puoi venire ammazzato, vivere perennemente sotto scorta come è accaduto a Robert Redeker o, se sei più fortunato, venire trascinato in tribunale.

Bensoussan esce a testa alta da questi processi assurdi anche se, chi lo conosce, sa quanto gli sono costati psicologicamente questi lunghi mesi dopo l’assoluzione in primo grado con, pendente sul capo, la spada di Damocle di una nuova sentenza.

Ma il caso Bensoussan ci racconta altro, mette in evidenzia in modo chiaro e inequivocabile come anche il pacato e misurato discorso di un intellettuale rigoroso come lui, è insostenibile per i nuovi piccoli stalinisti del politicamente corretto che flagellano senza scampo chiunque osi dire la verità. E che questo accada in Francia, una volta la patria libertina e libertaria di Voltaire, è un altro segno paradossale di un profondo smarrimento riguardo al senso delle cose, al nostra identità occidentale ormai sempre più fragile.

Colpirne uno per educarne cento. Fortunatamente c’è un giudice a Parigi.

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