Editoriali

Come è cambiato il terrorismo‏

Abbiamo la memoria corta e preferiamo dimenticare quel che ci disturba o interferisce con lo svolgersi della nostra vita quotidiana. E chi ha meno di 40 anni ha anche il diritto di ignorare quel che i media, nel frettoloso riferire del presente, omettono o non  spiegano. Una breve ricapitolazione di come il terrorismo ha cambiato pelle negli ultimi 60 anni può pertanto essere utile.
Il terrorismo, nelle forme che conosciamo, è nato nei primi anni ’70 dello scorso secolo, ad opera dell’OLP di Yasser Arafat, ed era rivolto specificamente contro gli ebrei e contro lo stato d’Israele.
A  quel tempo facevano capo all’OLP una galassia di sigle che rispondevano a diverse ideologie ed avevano in comune solamente le modalità operative e l’odio viscerale per gli ebrei. Esse erano finanziate dagli stati arabi, tutti in guerra contro Israele, e cercavano di spettacolarizzare le loro azioni.
All’inizio vi furono i dirottamenti di aerei: i primi dirottatori costrinsero gli aerei ad atterrare su piste abbandonate nel deserto della Giordania e qui, dopo il fallimento delle trattative con Israele e con gli stati ai quali questi aerei appartenevano, essi furono fatti saltare in aria. Poi vennero i dirottamenti che comportavano anche l’uccisione di passeggeri o di membri dell’equipaggio, ed il più tristemente celebre fu quello di un aereo dell’Air France che fu costretto ad atterrare ad Entebbe, in Uganda. I passeggeri ebrei furono separati dagli altri, e tutti furono rinchiusi in un hangar, ma Israele, con un’azione a sorpresa, riuscì a liberare tutti. In quell’occasione persero la vita il comandante del commando israeliano, fratello dell’attuale primo ministro Netanyahu, ed una anziana passeggera ebrea che era stata ricoverata in un ospedale di Entebbe e qui fu uccisa da uno dei terroristi.
Particolarmente audace fu l’assalto, da parte di un commando palestinese, alla palazzina che ospitava la squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco del 1972, che si concluse con una carneficina e con la fuga – tacitamente accettata dalla Germania – dei membri superstiti del commando palestinese. Si seppe in seguito che gli atleti erano stati torturati prima di essere uccisi.
Negli stessi anni altri gruppi di terroristi palestinesi assaltarono il banco della compagnia aerea El Al a Fiumicino, uccisero numerosi ebrei a Roma, a Vienna, a Parigi, ad Amsterdam, ad Istanbul – all’uscita dalle sinagoghe, nei ristoranti kasher, sugli autobus che portavano i bambini nelle colonie estive – ed un  commando si impadronì della nave da crociera italiana “Achille Lauro”, uccidendo un ebreo americano paralizzato, Leon Klinghoffer: il capo di questo commando fuggì poi su un aereo che fece scalo a Roma, col consenso dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi.
Per sintetizzare questo quadro, possiamo dire che quel terrorismo, sempre e solo di matrice palestinese, agì spesso in Europa e prese di mira gli ebrei, evitando in genere di affrontare direttamente gli israeliani all’interno dello stato d’Israele. Quelle azioni  non prevedevano missioni suicide e non erano motivate da una visione radicale della religione, tanto è vero che l’OLP strinse accordi con alcuni governi – si conoscono quelli con l’Italia e con la Svizzera – garantendo loro la tranquillità in cambio dell’impunità.
La fase successiva fu quella della prima intifada, una rivolta organizzata da Arafat che si esplicava prevalentemente con il lancio di pietre contro civili e militari israeliani. Ma fu la seconda intifada, tra il 2000 ed il 2005, ad inaugurare la fase del terrorismo suicida che ancora oggi insanguina il mondo. La propaganda palestinese ne attribuì la responsabilità alla decisione di Ariel Sharon di fare una “passeggiata” dimostrativa sulla spianata delle Moschee, che è anche il Monte del Tempio e che pertanto ha una fortissima valenza religiosa sia per i musulmani sia per gli ebrei. La presenza del leader israeliano fu percepita dagli arabi come una provocazione, ma non fu questa ad innescare la rivolta: come si apprese anni dopo e fu ampiamente documentato, Arafat aveva preparato  nei dettagli e finanziato una insurrezione che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto terrorizzare gli israeliani ed invece ne rafforzò la volontà di resistere. Centinaia di civili  furono macellati indistintamente nei ristoranti, sugli autobus che portavano le persone al lavoro ed i giovani a scuola, nelle discoteche, negli alberghi, durante la celebrazione di feste familiari e religiose. Anche in questa fase non fu il fanatismo religioso ad indurre i palestinesi al “martirio”, bensì la promessa del paradiso con la gratificazione delle 72 vergini che li attendevano, oltre che  l’ulteriore certezza di un lauto compenso in denaro alle loro famiglie.
La vera trasformazione, tuttavia, è avvenuta quando il terrorismo si è staccato dalla questione palestinese. Dalla guerriglia combattuta in Afghanistan contro gli invasori russi e dalla guerra combattuta dall’Iraq laico contro l’Iran in cui si era appena insediato Khomeini sono emerse le caratteristiche che gradualmente hanno modellato il nuovo terrorismo.
Dalle spinte nazionaliste che erano state alla radice di queste due guerre si è passati, con la nascita di Al Qaeda, ad una guerra globale dichiarata all’Occidente: un mix di fanatismo religioso, di richiami nazionalistici, di rifiuto dei valori etici e politici occidentali, le cui fondamenta si erano consolidate nell’ebraismo e nel cristianesimo, è sfociato nel terrorismo suicida in tutte le sue varianti.
L’11 settembre 2001 ha segnato l’inizio di questo percorso in un alternarsi di scenari che gradualmente hanno coinvolto il mondo intero, e lo scardinamento dello stato iracheno ha funto da innesco di un terrorismo sempre più aggressivo ed imprevedibile.
Nel mondo islamico si è anche scatenata una guerra senza quartiere fra sunniti e sciiti, e le motivazioni religiose sono via via diventate  un pretesto per dare un aspetto più credibile alla realtà che è alla base del terrorismo nei primi quindici anni di questo secolo: quella del predominio politico, della conquista di territori, dell’estensione a sempre nuove nazioni di una dominazione crudele ed autoreferenziale.
I legami ideologici, economici e politici fra le varie formazioni del terrorismo e di queste con gli stati che le finanziano si sono rinsaldati in un disegno complesso, che si manifesta con modalità differenziate a seconda di chi si voglia colpire. Parigi e Bruxelles sono simboli dell’Occidente, di un Occidente laico e politicamente strutturato, e la capacità di colpire questi simboli dà vigore all’espansionismo non tanto di un preteso Califfato islamico, che potrà essere sconfitto sul campo, bensì di un’ansia di conquista e di umiliazione dell’Occidente che troviamo condivisa (più o meno esplicitamente) da una vastissima platea musulmana che si estende dal clero agli intellettuali, dai politici alle stratificazioni della società. Il terrorismo che si è sviluppato all’interno del mondo islamico fra sciiti e sunniti persegue fini analoghi, sostituendo all’odio contro il comune nemico – l’Occidente, gli ebrei, i cristiani – quello reciproco fra le due grandi correnti della religione.
L’espansione capillare della propaganda islamista ha una duttilità ed una efficacia che mettono in grave difficoltà i sistemi liberali di gestione della politica, in cui diritti e libertà individuali  costituiscono la chiave di volta della società; la constatazione che il terrorismo è una forma di lotta politica dell’Islam o di parte di esso libera nel mondo occidentale le pulsioni meno nobili. Noi abbiamo sperimentato nelle guerre del Novecento che alla lunga la democrazia è più forte della dittatura, che la libertà prevale sull’oscurantismo: ma perché ciò avvenga servono unità di intenti, coordinamento degli sforzi, ed anche la capacità di sradicare dall’humus che lo protegge chi gestisce cinicamente questa violenza.
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