Israele e Stati Uniti

Il doppio standard dell’Amministrazione Biden nei confronti di Israele, parte prima

Fin dal suo insediamento, l’Amministrazione Biden ha iniziato una sistematica campagna di attacchi politici nei confronti di Israele. Di questo modus operandi abbiamo già dato conto in vari articoli (http://www.linformale.eu/lamministrazione-biden-e-il-vecchio-copione/); (http://www.linformale.eu/amici-problematici-israele-e-lamministrazione-biden/); e (http://www.linformale.eu/alcune-nomine-di-biden-relative-al-medio-oriente/). 

E’ quasi superfluo dire che mai nella storia delle relazioni bilaterali tra alleati si è assistito a un’opera di delegittimazione delle istituzioni nazionali così profondo e scientificamente organizzato come quello operato dai rappresentanti americani nei confronti di Israele. Forse l’unico precedente fu quello di Taiwan quando, nel 1971 per volere dell’Amministrazione Nixon, le fu tolto il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza e fu esclusa dall’ONU. 

Tra i numerosi casi che si possono evidenziare, ne illustreremo cinque molto indicativi.

Caso Shireen Abu Akleh  

Il caso della giornalista palestinese con cittadinanza americana è emblematico. 

La giornalista di Al Jazeera è rimasta uccisa – lo scorso 11 maggio – durante un’operazione anti terrorismo condotta dall’esercito israeliano nella città di Jenin. La prima considerazione da fare è che lo scontro a fuoco che le fu fatale, avvenne appunto a Jenin, cioè in una città amministrata dall’Autorità Palestinese di Abu Mazen. Negli ultimi anni Jenin è diventata una roccaforte delle organizzazioni terroristiche palestinesi che, nel solo 2022, hanno causato 31 morti in Israele, la quasi totalità dei quali civili. Di questo fatto nessun rappresentate americano ha mai chiesto conto al leader palestinese. Non di meno sono ripresi copiosi i finanziamenti degli Stati Uniti nei confronti dei cleptocrati dell’Autorità Palestinese.

Un secondo punto da mettere in rilievo è che l’AP ha trattenuto il corpo della giornalista e il proiettile che l’ha colpita negando per molti mesi ai periti israeliani e a quelli americani di potere svolgere le indagini indispensabili per stabilire la dinamica della sua morte. Fin da subito, tuttavia, sono iniziate le pressioni su Israele affinché rivedesse le proprie regole d’ingaggio per combattere i terroristi dando per scontata la  sua responsabilità nella morte della giornalista.

Analoghe pressioni non hanno avuto luogo da parte americana  nei confronti dell’AP per avere subito ripulito la scena dell’uccisione impedendo così le indagini forensi, o per non aver permesso l’autopsia congiunta con esperti americani nè per avere occulatato il proiettile per molto tempo.

Solamente oltre tre mesi dopo il fatto, i palestinesi hanno consegnato un proiettile compatibile con le armi in dotazione all’esercito israeliano – ma va sottolineato che anche i palestinesi hanno le stesse armi come si evince dalle tante foto postate sui social – ad una commissione congiunta israelo-americana composta insieme ad alcuni periti dell’FBI. Contestualmente, il Segretario di Stato Antony Blinken e vari membri del partito democratico hanno ricevuto i famigliari di Shireen in segno di deferenza. Deferenza che non è mai stata espressa nei confronti dei familiari dei giornalisti americani morti in vari teatri di guerra nel corso degli anni.

Secondo il responso della commissione della quale faceva parte anche l’FBI è impossibile stabilire con certezza chi abbia sparato il colpo fatale. Subito dopo la morte della giornalista, il comando dell’IDF aveva immediatamente dichiarato che cerano “alte probabilità che il colpo fosse stato sparato accidentalmente da un soldato israeliano” durante il conflitto armato nel quale essa si era trovata coinvolta, ma, “non si escludeva che il colpo potesse essere stato sparato da palestinesi armati”. Quest’ultima frase è stata quasi del tutto taciuta dalla stampa che ha voluto enfatizzare esclusivamente l’eventuale responsabilità di Israele. Caso chiuso? Neanche per idea. Per nulla soddisfatti molti rappresentanti democratici (almeno 57 membri del Congresso e 22 senatori) hanno chiesto al Presidente Biden di incaricare l’FBI di una ulteriore indagine. Siccome la prima indagine è stata condotta per volere del Dipartimento di Stato, la seconda è stata affidata direttamente all’FBI dal Procuratore di Stato su richiesta dell’amministrazione.

Si vedrà a cosa porterà la nuova indagine. Una cosa è certa: non esistono dei precedenti di richieste simili in nessun paese “amico” soprattutto dopo che l’FBI ha già avuto accesso a tutte le informazioni utili. Inoltre, nessuna rimostranza è stata fatta all’AP per aver ostacolato in tutti i modi le indagini. Alcune considerazioni ulteriori vanno fatte in merito alla decisione di aprire una seconda indagine dell’FBI.  

Nel corso degli ultimi tre decenni circa 2.600 giornalisti – molti dei quali americani – sono morti durante le loro corrispondenze in giro per il mondo ma in nessun caso l’FBI ha aperto un’indagine sulla loro morte. Solamente nel conflitto ucraino sono morti 15 giornalisti americani ma non è stata aperta alcuna indagine. Durante il conflitto in Iraq 13 giornalisti di vari paesi sono stati uccisi dalla truppe americane senza che l’FBI se ne sia occupata, anzi un procedimento penale intentato in una corte di giustizia di Madrid nel 2011 per l’uccisione di un giornalista spagnolo ad opera di soldati americani, fu fatto chiudere per le forti pressioni diplomatiche dell’Amministrazione Obama. Cosa dire dell’uccisione del giornalista saudita, residente negli USA, Jamal Khashoggi, ucciso, smembrato e fatto sparire con l’acido nel consolato saudita di Istanbul?  Oltre a non avere mai aperto indagini da parte dell’FBI, gli Stati Uniti, con un atto del Presidente Biden, hanno dichiarato l’impunità dei mandanti (i regnanti sauditi) facendo terminare tutte le indagini tentate dai parenti. Infine, negli ultimi 20 anni, almeno 49 israeliani con passaporto americano sono stati uccisi dai palestinesi ma, anche in questo caso l’FBI non se ne è mai occupata nè nessuno dei loro parenti è mai stato ricevuto dal Segretario di Stato in carica.

In conclusione, ci troviamo di fronte a un chiaro esempio di doppio standard orientato da evidenti fini politici: mettere Israele sul banco degli imputati.

Ultima annotazione: Alcuni giorni orsono il canale televisivo Al Jazeera ha deciso di portare il caso di Shireen Abu Akleh presso il Tribunale Penale Internazionale per accusare Israele di crimini di guerra. Questa decisione sarà stata influenzata dalla precedente decisione americana? 

Regole d’ingaggio 

Come accennato in precedenza l’Amministrazione Biden, quasi sempre per bocca del suo portavoce presso il Dipartimento di Stato, Ned Price, ha iniziato una campagna ossessiva contro l’esercito di Israele chiedendo innumerevoli volte di modificare le regole d’ingaggio contro i terroristi e le bande armate palestinesi. E’ quasi superfluo dire che analoghe richieste non sono mai state presentate al Pentagono in occasione delle campagne di Afghanistan e Iraq, dove le morti di combattenti e soprattutto di civili causate dai militari americani sono state enormemente superiori (almeno 150.000 morti) a quelle avvenute negli scontri con i terroristi palestinesi. Anche in relazione alla percentuale di popolazione la sproporzione di vittime causate dagli americani è disarmante. Nessuna richiesta simile è stata mai fatta neanche ai paesi della NATO che hanno partecipato alle guerre indirizzate dagli USA. Se volessimo anche paragonare il numero di cittadini americani uccisi dalla polizia USA, circa 1.000 ogni anno (https://www.washingtonpost.com/graphics/investigations/police-shootings-database/), e le condizioni nelle quali queste uccisioni avvengono (non paragonabili alla criticità di azioni anti terroristiche in territorio ostile) e con le dovute proporzioni di popolazione, si scopre che i poliziotti americani, negli ultimi 7 anni, hanno ucciso molte più persone, delle quali ben poche erano terroristi ben armati che avevano ucciso civili innocenti. Ma nessuno nello staff presidenziale si è mai sognato di “suggerire” al Dipartimento per la Sicurezza di cambiare le regole d’ingaggio della polizia americana. A questo bisogna aggiungere che il Dipartimento di Stato non ha mai chiesto ad Abu Mazen di cessare l’incitamento all’odio anti ebraico che è alla base del terrorismo o di intervenire per disarmare le organizzazioni terroristiche che di fatto controllano ampie zone di territorio in teoria amministrato dall’AP, come ha ampiamente dimostrato il caso di Jenin. Al massimo il Dipartimento di Stato si è sempre espresso condannando le morti di entrambe le parti così da instillare l’equiparazione dei morti civili causati dai terroristi con la morte dei terroristi stessi o di civili coinvolti accidentalmente negli scontri a fuoco, criterio mai utilizzato con altri Stati che non fossero Israele.

Queste continue ingerenze americane hanno senza dubbio portato ad un alleggerimento delle disposizioni difensive che sono la causa della morte di alcuni militari e poliziotti di frontiera nel corso del 2022. Oltre a questi gravi effetti, bisogna anche sottolineare le conseguenze politiche di tali ingerenze. Con quale altro paese alleato o amico, sotto molteplici attacchi terroristici, gli USA si sono sentiti in dovere di sindacare le regole d’ingaggio per difendere la propria popolazione civile? Mai con nessuno. Questa amministrazione – sulla falsa riga di quella Obama – ha la pretesa che Israele segua dei principi imposti che non sono richiesti a nessun altro, di nuovo, un doppio standard che rientra tranquillamente tra le definizioni di antisemitismo approvate dall’IHRA.

Chiusura di ONG colluse con il terrorismo   

Un altro capitolo della campagna di delegittimazione di Israele orchestrata dall’Amministrazione Biden, è quello relativo a 7 ONG palestinesi colluse con gruppi terroristici come il Fronte Popolare di Liberazione Palestinese. In merito alla decisione presa dal ministro della difesa Benny Ganz (certo non un “estremista”), si può osservare che tale atto è stato deciso dopo anni di indagini e una enorme raccolta di prove che sono state condivise con gli stessi americani.

Presso lo stesso Congresso americano nel lontano 1993, si era tenuta una audizione per fare chiarezza se organizzazioni benefiche americane fornissero fondi a organizzazioni palestinesi collegate con il terrorismo. Già allora era emerso che due delle ONG chiuse da Israele la scorsa estate (la Union of Agricultural Work Committees e la Union of Palestinian Women’s Committees) erano implicate con il terrorismo palestinese. Al direttore di un’altra ONG chiusa, la Al-Haq, è stato negato l’ingresso in Giordania da diversi anni per collusione con il terrorismo. Sempre a questa ONG, Visa, Mastercard e American Express hanno negato transazioni sotto forma di donazioni sempre perché colluse con il terrorismo.

In merito alle restanti 4 ONG (Addameer, Bisan Center for Research and Discovery, Defense for Children International-Palestine, Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network) ci sono abbondanti prove di collusione con il terrorismo. Ma l’unica preoccupazione nei loro confronti che ha riguardato il Dipartimento di Stato americano è stata in merito alla loro chiusura, interpretata dall’Amministrazione Biden come un attacco alla libertà e ai diritti civili dei palestinesi.

Viste le tante prove raccolte da vari enti americani nel corso degli anni, anche in questo caso è evidente che l’unico intento, dell’amministrazione in carica è quello di delegittimare una doverosa azione di sicurezza del governo israeliano. Qualsiasi cosa faccia un governo di Israele, anche il più “progressista” degli ultimi decenni, per l’Amministrazione Biden, sulla falsariga dell’Amministrazione Obama, si tratta a priori di un attacco alla libertà, ai diritti civili e alla pacifica convivenza. 

Torna Su