Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Il voto dell’ONU deride la legge | di Evelyn Gordon

Esiste solo un modo ragionevole per riferirsi alla Risoluzione 2334 ONU del Consiglio di Sicurezza votata la settimana scorsa, come a un documento, per citare il suo linguaggio, che non ha “alcuna validità” e “costituisce una flagrante violazione della legge internazionale”. La risoluzione, la quale reputa ogni abitazione israeliana a Gerusalemme Est e nella West Bank una violazione della legge internazionale e designa entrambi le aree nella loro interezza, come “territorio palestinese occupato”, contraddice nella sua interezza ogni documento internazionale precedente ritenuto vincolante relativamente al conflitto arabo-israeliano, incluse le risoluzioni precedenti del Consiglio di Sicurezza. Quindi, se quei documenti precedenti hanno validità legale, allora questo costituisce una flagrante violazione della legge internazionale acquisita. E se essi non avevano validità legale, ma esprimevano semplicemente il clima internazionale del momento, lo stesso vale per questa.

Il primo documento rilevante è il Mandato per la Palestina della Società delle Nazioni del 1922. Esso assegnava esplicitamente tutto quello che è oggi Israele, la West Bank e Gaza a un “focolare nazionale ebraico”, sottolineando che nessuna parte di questo territorio poteva essere “ceduta o data in affitto, o in nessun modo posta sotto il controllo del governo di alcuno stato straniero”. Assegnava inoltre quella che è oggi la Giordania al focolare nazionale ebraico, ma con una esplicita disposizione che la Gran Bretagna, il potere mandatario, poteva “posporre o ritrattare l’applicazione” dei termini del mandato a quel territorio se essa lo voleva. Nessuna altra disposizione veniva collegata al resto del territorio. Esso veniva assegnato al “focolare nazionale ebraico”, permanentemente e incondizionatamente.

Dopo che la Società delle Nazioni si dissolse, le garanzie internazionali che essa aveva conferito vennero preservate nell’articolo 80 della Carta dell’ONU. Questa disposizione afferma che niente nella Carta possa essere interpretato in modo “da alterare in qualsivoglia maniera i diritti di qualsiasi stato o popolo o i termini degli strumenti internazionali esistenti dei quali i membri delle Nazioni Unite possano essere rispettivamente parti in causa”. Né il Piano di Partizione del 1947 ha revocato questa tutela. Venne adottato dall’Assemblea Generale, la quale, essendo sottomessa alle regole dell’ONU stabiliva che esso non era vincolante. Sarebbe diventato un trattato internazionalmente vincolante se entrambi gli ebrei e gli arabi lo avessero accettato, ma di fatto gli arabi lo respinsero.

Il successive sviluppo fu quello del Consiglio di Sicurezza ONU che produsse la Risoluzione 242. Questo documento venne esplicitamente composto in modo da permettere a Israele di mantenere parti del territorio catturato durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967. La risoluzione richiedeva deliberatamente un ritiro di Israele solo dai territori catturati nel 1967, non “dai territori” o da “tutti i territori”. Come spiegò Lord Caradon, l’ambasciatore britannico all’ONU il quale fu responsabile della stesura della Risoluzione 242, “Sarebbe stato sbagliato richiedere a Israele di ritornare alle posizioni del 4 giugno 1967, perché queste posizioni non erano auspicabili ed erano artificiali”. L’allora ambasciatore americano, Arthur Goldberg, disse allo stesso modo che le due parole omesse “Non furono accidentali…la risoluzione fa riferimento al ritiro da territori occupati senza definire l’estensione del ritiro”. Ciò fu egualmente chiaro sia all’Unione Sovietica che agli stati arabi, ragione per cui cercarono, senza successo, di includere nel testo queste parole supplementari.

Questa formulazione è del tutto coerente con il Mandato del 1922 e la tutela dell’Articolo 80. Senza dubbio il Consiglio di Sicurezza si aspettava che Israele cedesse parte della West Bank a seguito di negoziati di pace futuri, la terra in cambio della pace, dopotutto, fu all’epoca l’esplicita politica del governo israeliano. Ma senza definire l’estensione del ritiro, la risoluzione lasciò aperta la possibilità che Israele ottemperasse ai suoi termini anche senza cedere un solo centimetro della West Bank, ritirandosi invece da altri territori catturati. Di fatto, Israele rinunciò a più del 90% del territorio catturato nel 1967 semplicemente ritirandosi dal Sinai nel 1982.

Gli accordi internazionali successive hanno similmente preservato la rivendicazione di Israele relativa ai territori oltre la linea armistiziale del 1949, ovvero la “linea verde”, o il “confine pre-1967”. Per esempio, l’accordo armistiziale del 1949 con la Giordania, la quale occupò illegalmente la West Bank e Gerusalemme Est dal 1946 al 1967, afferma chiaramente che “Nessuna disposizione di questo accordo potrà in nessun modo pregiudicare i diritti, le rivendicazioni e le posizioni di entrambi le parti se non nel corso della definizione pacifica definitiva della questione palestinese, essendo le disposizioni di questo accordo dettate esclusivamente da considerazioni militari”. In altre parole, esso preserva interamente la rivendicazione di Israele sulla West Bank. Inoltre esso venne supervisionato da due ufficiali dell’ONU i quali ne inviarono le copie a diverse agenzie ONU, incluso il Consiglio di Sicurezza, quel medesimo Consiglio di Sicurezza il quale, così sprezzantemente, ha abrogato questa tutela dell’ONU la scorsa settimana.

Arrivando all’Accordo di Oslo del 1993, in base al quale Israele ha ceduto volontariamente parti della West Bank e di Gaza ai palestinesi, non si troverà alcuna consacrazione della linea armistiziale del 1949. L’accordo elenca esplicitamente “Gerusalemme” e “gli insediamenti” come “questioni le quali verranno negoziate nell’ambito di uno statuto negoziale permanente”, il che significa che Israele non rinunciò alla propria rivendicazione su Gerusalemme o ad alcun territorio sul quale sono collocati gli insediamenti. Questo documento venne formalmente supervisionato dagli Stati Uniti e dalla Russia, due dei paesi i quali, la settimana scorsa, hanno spensieratamente votato per abrogarne i termini.

Nel 1995 l’Accordo Interinale ha trasferito ulteriore territorio ai palestinesi, ma un’altra volta ancora ha designato Gerusalemme e gli insediamenti come questioni da negoziare nel contesto di accordi definitivi, dunque preservando le rivendicazioni di Israele nei loro riguardi. Questo accordo ha aggiunto ulteriori supervisori, includendo l’Egitto e l’Unione Europea. L’Egitto è attualmente un membro del Consiglio di Sicurezza, come lo sono tre paesi dell’Unione Europea, la Francia, la Spagna e la Gran Bretagna (la quale ha votato per lasciare l’Unione Europea ma non lo ha ancora fatto). Dunque siamo arrivati a sei membri del Consiglio di Sicurezza i quali hanno votato per abrogare gli accordi che avevano supervisionato.

Non casualmente la Risoluzione 2334 ha trattato Israele in un modo in cui nessun altro membro dell’ONU è stato trattato. Come hanno scritto Eugene Kontorovich e Penny Grunseid tre mesi fa, l’ONU non ha mai qualificato nessun altro stato come una “potenza occupante”, non la Turchia nel nord di Cipro, non la Russia in Georgia e Crimea, non l’Armenia nell’Azerbaijan, ecc. Tuttavia questi territori occupano di fatto il territorio di altri stati mentre Israele “occupa” un territorio che non è mai appartenuto a nessun altro paese (in nessun momento della storia umana è mai esistito uno “stato palestinese”) e sul quale ha secondo la legge internazionale la rivendicazione più forte.

In breve, la Risoluzione 2334 viola le decisioni precedenti della Società delle Nazioni e del Consiglio di Sicurezza.  Viola accordi firmati e supervisionati dagli stessi stati che l’hanno votata, viola un principio fondamentale di tutta la legge stabilendo un criterio per Israele e un altro per il resto del mondo. In quanto tale esiste solo una via per chiunque abbia a cuore “la legge internazionale”, trattarla come una risoluzione del tutto destituita  di “alcuna validità legale”.

Articolo di Evelyn Gordon per Commentary, tradotto in italiano

Evelyn Gordon è immigrata in Israele nel 1987 subito dopo essersi laureata in ingegneria elettronica a Princeton. Ha lavorato come giornalista e commentatrice al Jerusalem Post dal 1990. Dal 1990 al 1997 ha lavorato come reporter occupandosi di economia, della Corte Suprema israeliana e della Knesset. Sempre per il Post ha tenuto una rubrica regolare dal 1998-2009. Ha pubblicato articoli sul trimestrale israeliano Azure e il mensile americano Commentary

 

Clicca per commentare

Devi accedere per inserire un commento. Login

Rispondi

Torna Su