Islam e Islamismo

La morta gora di Abu Mazen e di Hamas

L’irrilevanza politica di Abu Mazen, l’anziano leader abusivo dell’Autorità Palestinese è sempre più manifesta e certifica di fatto come egli sia quello che è, un relitto del passato. La convocazione domenica a Ramallah del Comitato Centrale palestinese durante il quale egli ha lanciato i suoi strali contro gli Stati Uniti, Israele, Donald Trump e l’ambasciatore USA a Gerusalemme, David Friedman, affermando che d’ora in poi gli USA non saranno più i mediatori del processo di pace ma lo sarà la comunità internazionale, ovvero l’Europa targata Mogherini, evidenzia ad un tempo impotenza isolamento e farsa.

Le delegazioni di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese, invitate all’incontro non si sono presentate, evidenziando la scarsa importanza che esse gli hanno dato. Abu Mazen è percepito da tempo dal pubblico palestinese e in generale nel mondo arabo come una figura senza alcun reale peso politico, del tutto incapace di determinare e modificare alcunché. Convocato a Riad prima che Donald Trump dichiarasse Gerusalemme la capitale di Israele, si è sentito dire dal futuro re, Mohamed bin Salman, di scordarsi la pretesa di avere Gerusalemme Est capitale di un futuro Stato palestinese il quale non sorgerà sulle colline della Cisgiordania.




Il colloquio con Mohamed bin Salman è la conseguenza di quello che è il nuovo assetto mediorientale relativamente alla cosiddetta “questione palestinese”, sotto l’Amministrazione Trump, una questione che ormai, da un decennio a questa parte, non muove più gli animi del mondo arabo se non per riflesso condizionato, per adesione pavloviana. Sono altre ora le priorità.

La dichiarazione di Trump su Gerusalemme capitale di Israele, la minaccia di tagliare i fondi all’UNRWA se Abu Mazen non tornerà al tavolo negoziale, la assai tenue risposta della piazza alla mobilitazione chiesta da parte dell’Autorità Palestinese e di Hamas, evidenziano chiaramente come il tempo immobile di un conflitto ormai tenuto in piedi solo dall’Iran come stato musulmano e in Occidente dall’Unione Europea, si scontri con quello mobile dei fatti. Mutamento a cui il nuovo impulso dato dalla determinazione americana di non perdere tempo di fronte a sfide ben più impegnative come quelle rappresentate dalla minaccia iraniana, ha trovato la sponda dei paesi sunniti, Arabia Saudita in testa.

In questo scenario si inserisce anche il progressivo indebolimento di Hamas, la cui rete sotterranea di tunnel, per i quali sono state investite enormi somme di denaro sottratte al benessere della popolazione di Gaza, è costantemente resa non operativa da Israele. L’ultimo a essere colpito in ordine di tempo è quello che è stato distrutto sabato scorso sotto i tripli confini di Gaza, Egitto, Israele, nel punto in cui è operativo il valico di Kerem Shalom. Si tratta del quarto tunnel a essere distrutto in due mesi e mezzo, e che non mancherà di creare tensioni tra la formazione integralista e l’Egitto dopo il recente riavvicinamento ai fini di una riconciliazione intra-araba tra Fatah e Hamas. Il tunnel, infatti, è stato costruito all’insaputa dell’Egitto, e con ogni probabilità per potere essere utilizzato anche allo scopo del contrabbando.

Con la distruzione dei tunnel, il principale investimento militare di Hamas, quello che in questi anni ha impiegato più mezzi umani e risorse finanziare, il gruppo terrorista si trova fortemente depotenziato nelle sue ambizioni offensive contro lo Stato ebraico.




La fotografia della realtà è impietosa. Mentre Abu Mazen assomiglia sempre più a Hiro Onoda, il soldato giapponese che venne arrestato nel 1974 nell’isola filippina di Lubang dove continuava a guerreggiare rifiutandosi di accettare che la guerra fosse finita da ventinove anni, Hamas si trova a essere ridotto a una oggettiva incapacità di creare danni reali a Israele e in controllo di una enclave musulmana ridotta allo stremo in virtù del saccheggio progressivo a scopo militare del denaro di provenienza internazionale elargito per gli aiuti. Situazione riassunta da Daniel Pipes su questo giornale, qualche tempo fa,

“Vivono in un mondo di fantasie. Vivono in un mondo con una mappa che è quella del Mandato Britannico vecchia di un secolo fa, vivono in un mondo in cui l’Unesco stabilisce che la tomba dei patriarchi a Hebron è un sito storico palestinese, vivono in un mondo in cui paesi stranieri foraggiano la loro economia, vivono in un mondo in cui gli attentatori suicidi vengono celebrati come eroi. E’ un mondo folle a cui è stato permesso di continuare fino ad oggi e che ha danneggiato sia gli israeliani sia loro stessi. Una volta che avranno riconosciuto la sconfitta potranno procedere in modo da costruire la loro economia, la loro società e la loro cultura”.

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