Il leader palestinese Abu Mazen una spia russa al soldo del Kgb? L’ipotesi, che molti osservatori dei fatti mediorientali considerano più che plausibile (basti considerare il rapporto tra Unione Sovietica e OLP, con finanziamenti e fornitura di armi, iniziato negli anni sessanta), è stata rilanciata con forza e non senza polemiche da una delle principali tv israeliane, Channel 1, che ha trasmesso un approfondimento relativo al famigerato Dossier Mitrokhin, quello che in Italia negli anni novanta ha lambito anche alcuni politici nostrani. Ebbene, due ricercatori israeliani – Gideon Remez e Isabella Ganor – hanno spulciato con attenzione tra le carte della documentazione disponibile presso l’Università di Cambridge. Oltre ad emergere conferme sull’attività dei sovietici in Medio Oriente durante gli anni della guerra fredda, ci sono capitoli che dedicano molta attenzione ad Abu Mazen, alla frequentazione dell’Università di Mosca, alla sua ottima conoscenza della lingua russa e, soprattutto, alla definizione di “agente” con base a Damasco che ne viene data. Channel 1 ha fatto pure notare che l’allora ambasciatore russo nella capitale della Siria era un certo Mikhail Bogdanov, l’uomo che Putin in questi giorni sta facendo lavorare con l’obiettivo di organizzare un summit israelo – palestinese a Mosca.
Dietrologia? Macigni sul processo di pace? Propaganda “sionista”, tanto per usare gli stanchi refrain del proselitismo antiebraico? Le carte sembrano parlare chiaro, più fonti confermano la solidità delle affermazioni dei due ricercatori israeliani e, del resto, anche la “piccata” reazione dei palestinesi alla notizia non appare come una smentita, ma piuttosto una sorta di precisazione: “Abu Mazen – spiegano fonti governative da Ramallah – non aveva bisogno di un canale segreto con i russi visto che era anche capo della Fondazione di amicizia sovietico-palestinese”. Un proverbio Yiddish dice che dove c’è del fumo potrebbe esserci del salmone affumicato. La storia, come sempre, non finisce mai di essere scritta.
